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13/02/2017 - Il superiore interesse del minore

Nei giorni scorsi si è puntualmente verificato ciò che le associazioni profamily avevano già ampiamente predetto. La prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma con la quale è stata accolta la domanda di adozione di una minore proposta dalla partner della madre, con lei convivente in modo stabile. La Corte, nel dare il via libera all’adozione all’interno di una coppia di donne omosessuali, ha affermato che tale adozione «non determina in astratto un conflitto di interessi tra genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l'eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice».
Eppure non bisognava cimentarsi nell’antica arte del vaticinio per comprendere che il testo della legge c.d. Cirinnà avrebbe ampiamente aperto al mercato dell’utero in affitto.
Difatti, puntualmente, a pochi giorni dall’entrata in vigore della regolamentazione delle unioni civili è pervenuta la sentenza 12962/16, con cui la Corte Suprema si è pronunciata sulla “stepchild adoption” (l’istituto giuridico che consente al figlio di essere adottato dal partner - eterosessuale o omosessuale - del proprio genitore biologico), ritenuta in sostanza dalla Corte una delle forme di adozione «in casi particolari» prevista dalla legge 184 del 1983.
I giudici di piazza Cavour nel confermare l'adozione della coppia di donne omosessuali, oltre ad affermare che questa «non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice», hanno specificato anche che questa adozione «prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore». Ora rimane da chiedersi che tipo di indagine ha compiuto il giudice. Interrogativo più che fondato visto che l’utero in affitto nel nostro paese è reato.
Eppure nell’udienza pubblica il sostituto procuratore generale della Cassazione aveva chiesto il rigetto della stepchild o la rimessione della problematica alle Sezioni unite, con la motivazione che la legge 184 del 1983 in base alla quale alcuni giudici di merito hanno stabilito la possibilità di adottare il figlio biologico del partner, rifacendosi alla norma sulle adozioni 'in casi particolari', non possa applicarsi in cui il minore sia amato e accudito dal genitore biologico. «La legge - aveva affermato il procuratore della Cassazione - si occupa solo di infanzia maltrattata e abbandonata». Il collegio si è invece preso la responsabilità di decidere in senso opposto, sottolineando che «la Cassazione ha pronunciato a sezione semplici su numerose questioni variamente collegate a temi socialmente e/o eticamente sensibili». E ha di fatto stabilito l’applicabilità della norma sull'adozione in casi particolari anche quando non si è in presenza di minori abbandonati o orfani e prescindendo dall'affidamento preadottivo. Eppure tali norme erano state concepite dal legislatore quali clausole di salvaguardia del “superiore interesse del minore” che ha costituito finora il pilastro dell’ordinamento, e che in tal modo viene scardinato.
È evidente che il pronunciamento esaminato prende le mosse da una lettura ideologica e distorta del vigente diritto di famiglia. In sostanza è stata conferita preminenza non all’interesse del minore quanto piuttosto alla ricerca della massima esposizione mediatica del caso, oltre a certificare come legittimo il desiderio di genitorialità degli adulti che si riverbera in una compravendita dei bambini.
Difatti la Corte non ha però tenuto in alcun conto il fatto che il Parlamento non ha approvato, nell’ambito del disegno di legge sulle unioni civili, la “stepchild adoption”. Anzi, si evince dai lavori parlamentari del predetto disegno di legge che il Legislatore riteneva inesistente una norma che consentisse espressamente l’adozione nei casi di utero in affitto come quello in esame, stante proprio la previsione di tale condizione come reato.
In definitiva è purtroppo un pronunciamento contraddittorio, che comporterà inevitabilmente un aumento delle richieste di adozioni di minori da parte di coppie dello stesso sesso e, cosa ben più ripugnante e grave, anche dell’illegale attività di procreazione retribuita. Proprio come quella che ha dato luogo alla vicenda processuale decisa dalla Cassazione.

(Articolo pubblicato sul periodico diocesano per Brindisi/Ostuni “Fermento” di Febbraio 2017)


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