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01/06/2017 - Quel grido dei fanciulli soffocato

Nell’ambito del diritto di famiglia vi è da registrare la consolidata prassi dei Tribunali del nostro paese di sostituirsi al legislatore ed emettere provvedimenti che sconfinano abbondantemente nella “giustizia creativa”. Il Tribunale dei minori di Firenze con due sentenze “fotocopia” ha riconosciuto l’adozione, ottenute all’estero, per due coppie di padri omossessuali ritenendole valide anche nel nostro ordinamento. Come ormai è consuetudine le decisioni sono state prese «nell’interesse dei bambini». La prima riguarda due bimbi adottati nel Regno Unito da due uomini italiani da anni residenti all’estero;?le seconda una bimba adottata da un italiano e un americano negli Stati Uniti. In entrambi i casi i minori non hanno alcun legame, neppure di sangue con i presunti adottanti.
Si legge testualmente nel primo provvedimento: «lo status di figlio prescinde totalmente dall’esistenza di un rapporto di coniugio tra i genitori anche alla luce della recente parificazione dello status di figlio attuata con la modifica dell’articolo 74 del Codice civile posta in essere dalla legge n. 219/2012. Pertanto il coniugio, ai fini della filiazione, non è un principio rientrante tra quelli fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori». Con tale premessa continua il giudice fiorentino, «voler limitare gli effetti della sentenza di cui si chiede la trascrizione a quelli propri dell’adozione in casi speciali di cui all’articolo 44 lettera d) è assolutamente contrario ai principi sopra esposti e non potrebbe una tale interpretazione sottrarsi a censure di costituzionalità». È così riconosciuta, «ad ogni effetto in Italia» l’adozione pronunciata dal giudice straniero di due minori definiti in stato di abbandono, con l’ordine all’ufficiale di stato civile di provvedere «alla trascrizione nei Registri dell’adozione dei minori che prendono il nome dei loro due padri» adottivi.
In realtà la pronuncia del Giudice del Tribunale dei minori citata pretermette e viola in un colpo la normativa nazionale che impone l’esistenza di prerequisiti per poter adottare dei minori: primo fra tutti, l’esser coniugati. La sentenza straniera viene sic et sempliciter considerata non confliggente con i canoni richiesti dalla normativa italiana e perfettamente aderente ai principi sovranazionali espressi dai trattati europei e internazionali, mentre in realtà non lo è affatto, con la semplice motivazione che il giudice «deve avere riguardo non già all’astratta formulazione della disposizione straniera o alla correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o di quello italiano, bensì ai suoi effetti in termini di compatibilità con il nucleo dei valori del nostro ordinamento». In realtà il pronunciamento non tiene in alcun conto l’iter preadozionale che viene compiuto dalle coppie eterosessuali per ottenere l’adozione di un minore straniero. Iter che spesso diventa un vero calvario sia di energie fisiche che economiche per chi decide di fare questo passo, poiché estremamente gravoso e lungo.
Il pronunciamento in esame pretermette anche due elementi da sempre richiamati nelle sentenze sull’applicabilità in Italia di decisioni straniere. Quello della contrarietà all’ordine pubblico internazionale della pronuncia del Regno Unito, con la considerazione della tutela delle relazioni familiari, come siano, riconosciute dalle norme sovranazionali;?e quello del «superiore interesse del fanciullo» che si dà per riconosciuto sul presupposto di una pronuncia della Cassazione (n. 601 del 2013) che ha affermato come «costituisca mero pregiudizio ritenere che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su di una coppia omosessuale».
Come se ciò non bastasse Il Tribunale per i minori di Firenze assume la vera e propria veste di legislatore creativo affrontando e risolvendo a suo modo il divieto - recentemente imposto dalla legge Cirinnà - agli uniti civili di adottare sul presupposto che questi non siano sposati. Il?giudice fiorentino afferma infatti che questa sia «una soltanto delle opzioni legislative in ambiti materiali» della tutela dei diritti delle famiglie, ambiti nei quali non esistono «rime giuridiche obbligate». Del resto, nella relazione della Commissione Giustizia della Camera che conclude l’indagine conoscitiva in vista della riforma della legge sulle adozioni si legge «non vi è motivo di precludere l’adozione alle coppie conviventi, eterosessuali oppure omosessuali, così come alle parti di un’unione civile». E il Parlamento? E le leggi italiane? Sono solo un inutile e superabile intralcio. Come se privare un bambino della madre corrisponda al suo superiore interesse.
Appare ormai sempre più ridotto al lumicino il principio cardine della legge sulle adozioni che mette al centro il bambino e non l’adulto. Oramai si assiste sempre di più alla reificazione del minore che da soggetto di diritti diventa oggetto di desideri altrui. Comprati a suon di denari, tanto è vero che oramai su internet è possibile trovare veri e propri tariffari che prevedono anche la garanzia di un nuovo impianto embrionale ove quello compiuto non “funzioni” o la gravidanza non venga portata a termine. È ignorato il diritto dei figli a essere allevati da papà e mamma, mentre sono privati con una violenza senza eguali del rapporto genitoriale naturale e della figura materna in caso di adozione omosessuale. Per i figli di queste coppie non vale, sin dalla nascita, il principio d’eguaglianza rispetto agli altri bambini del mondo, perché si nega un diritto umano basilare riconosciuto dal primo apparire dell’uomo e della donna su questa terra.
Tra l’altro, nessuno può supplire alla volontà di chi è appena nato, e i minori potranno denunciare ciò che viene ora loro tolto solo quando saranno adulti, ma ormai la grande iniquità sarà compiuta e consumata. Contro la distruzione della famiglia e della maternità naturale grida quel principio basilare, compreso da ogni essere umano nella sua profondità, per il quale «salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre» (Dichiarazione sui diritti del fanciullo, 1959, VI princ.), e gridano le leggi e le Convenzioni che tutelano la maternità come condizione pregiudiziale per la crescita dei bambini. Speriamo che anche la giustizia ed il legislatore italiano li ascoltino e non rimangano ancora indifferenti.

(Articolo pubblicato sul periodico diocesano per Brindisi/Ostuni “Fermento” di Maggio 2017)


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